Blog

Spesso si dice che la realtà non può essere spiegata con dei freddi dati numerici. Sarà sicuramente vero, ma in alcuni casi solo la forza brutale e inappellabile dei numeri può rendere l’idea di ciò che ci circonda. Nel mondo sono circa 570 milioni i bambini che vivono in condizioni di estrema povertà, 750 milioni sono vittime di deprivazioni di vario tipo, mentre più di 950 milioni rischiano di cadere in povertà. I dati forniti da Save the Children nel nuovo rapporto “Povertà minorile nel mondo”, sono sicuramente eloquenti, ma sembrano dipingere una realtà a noi lontana. Così non è. Circa il 73% delle persone povere nel mondo vivono in paesi a medio reddito e anche tra i paesi più ricchi. Nella stessa Unione Europea il 27% dei bambini sono a rischio di povertà ed esclusione sociale.

L’Italia non fa eccezione. Il nostro paese, insieme a Grecia e Spagna, è quello che ha maggiormente e fortemente avvertito la crisi economica e i dati lo testimoniano. Oltre un milione di bambini vivono in condizioni di estrema povertà, mentre il 34% sono a rischio povertà ed esclusione sociale. Colpa della disoccupazione e dei servizi sociali sempre più scarsi a sostegno delle famiglie. Così la qualità della vita dei bambini è scesa. Ne risente la formazione con la rinuncia ad attività integrative e il taglio della spesa. Ne risentono gli ambienti domestici e persino la salute. Si, perché dall’inizio della crisi economica in Italia sembrerebbe raddoppiato il numero di minori che hanno dovuto fare i conti con la povertà alimentare.

Situazioni di questo tipo rischiano di innescare un circolo vizioso con gravi conseguenze per il futuro di centinaia di milioni di bambini. Nel rapporto di Save the Children, infatti, si evidenzia come la povertà minorile vada di pari passo con l’esclusione sociale ed economica. Le conseguenze sono molto concrete. Si stima ad esempio che un bambino che abbia vissuto significative e croniche carenze nutrizionali nei primi tre anni di vita, abbia maggiori rischi di ammalarsi, possa crescere almeno 3 centimetri meno di un suo coetaneo, avere maggiori problemi a completare la scuola primaria e in alcuni casi, da adulto, possa guadagnare dal 3 all’8% in meno all’anno rispetto alla media. Giovani donne con scarsi livelli nutrizionali sono inoltre più esposte a veder crescere i propri figli malnutriti.

Come precedentemente evidenziato circa il 73% delle persone povere del mondo vivono nei paesi a medio reddito ed è proprio in questi paesi che la povertà economica rischia maggiormente di trasformarsi in fenomeni di esclusione sociale e discriminazione. Fenomeni di questo tipo sembrano più frequenti in quei paesi che hanno conosciuto un rapido sviluppo economico come ad esempio l’India. Ma anche gli USA registrano ampi fenomeni di povertà minorile, soprattutto all’interno delle comunità afroamericano ed ispaniche.

Dati di questo tipo, si sa, vanno interpretati con la dovuta cautela, ma stavolta il fenomeno rischia solo di essere sottostimato. I bambini più poveri e vulnerabili spesso sono proprio quelli che sfuggono alle statistiche e si stima che nella realtà il dato potrebbe tristemente crescere di oltre il 25%. Non fa eccezione il sud Italia e neppure l’area flegrea, dove lontano dai riflettori si sono moltiplicate le situazioni di disagio. Per questo La Casetta Onlus opera contro la povertà e l’esclusione sociale dei minori. Un lavoro quotidiano fatto di gesti semplici, che però assumono un grande valore alla luce proprio del quadro appena dipinto. Si è visto, infatti, come il trasposto scolastico, il dopo scuola e le altre attività ludico-formative svolgano un ruolo fondamentale nella crescita del bambino. Accanto a tutto questo La Casetta non fa mancare l’attenzione alla famiglia, provando a migliorare il contesto di vita del minore attraverso azioni di sostegno materiale e varie forme di supporto alla genitorialità.

 

Mirco Maestrini

Ufficio Stampa La Casetta Onlus

ROMA. Alcune volte il fundraising viene inteso come serie meccanica di azioni per raccogliere fondi. Non è così, o almeno, non dovrebbe esserlo. Capita, spesso, che chi deve raccogliere fondi (mi riferisco, in particolare, alle associazioni di volontariato) provi una sorta di avversione verso le tecniche di fundraising. Per questo, per coloro che supportano professionalmente le organizzazioni nella raccolta di fondi, diventa necessario non perdere il contatto con un gesto semplice e spontaneo: il dono.

Secondo la Treccani donare vuol dire “dare ad altri liberamente e senza compenso cosa utile o gradita”. Ma è davvero così? E se è così, quali sono i limiti del fundraising? Anna Gallo è impegnata nel sociale da moltissimi anni. È accanto agli ultimi della terra che vivono o sopravvivono nella zona a nord di Napoli, un bacino che contiene oltre 130 mila persone. Lo fa con il supporto dell’associazione da lei creata, La Casetta onlus.  Anna è una persona che si interroga molto sul significato del dono e con lei ho voluto discuterne toccando alcuni aspetti peculiari: gesto spontaneo, seguito ad una precisa richiesta, legata solo alle tecniche di fundraising.

Secondo Anna, donare ha a che fare con l’amore. È un tripudio di sensazioni e di calore che avvolge le persone in un grande mistero, quello divino. Un giorno le ho chiesto “Ma donare è davvero così necessario?” Per Anna il donare non entra nella logica del necessario ma nella consapevolezza che noi siamo una meravigliosa opportunità per noi stessi e per gli altri. Quando si dona, un grazie non è proprio necessario ma benvenuto, quando è spontaneo. Forse nel fundraising il “grazie” non è proprio spontaneo, ma il gesto meccanico del far partire la lettera di ringraziamento, non necessariamente vuol dire che il gesto non sia sincero e pieno di gratitudine verso chi ci ha aiutati.

A mio avviso, uno dei compiti del fundraising è educare alla solidarietà. Ho chiesto ad Anna se, secondo lei, si aiutano gli altri perché si è stati educati a farlo.  Lei mi ha risposto che “ognuno è frutto della sua educazione, ma l’amore prende forma soltanto se diventa produttivo e accade quando lo trasferiamo sul prossimo”

Le ho poi rivolto una domanda sulla quale abbiamo discusso tanto. Chiedere un dono, utilizzando per esempio le tecniche di fundraising, fa perdere al dono la sua spontaneità? Lo rende meno “sincero”? “Il fundraising è una strada, un gran bel cammino ricco di risorse provvidenziali. È l’amore che si espande. È un abbraccio che nutre…non è forse vero che l’uomo virtuoso è incline agli accordi? Il fundraising è una grazia perché ha il potere di creare relazioni e ponti di speranza”.

Raffaele Picilli si occupa di fundraising e marketing per il Terzo Settore da oltre quindici anni. Il suo ultimo libro sul tema della raccolta fondi è “Fundraising e comunicazione per la politica” scritto con Marina Ripoli ed edito da Rubbettino Editore.

CAMBIA IL LORO MONDO. CAMBIA IL TUO. COSÌ CAMBIA TUTTO