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Foto (1)  C’è chi in questi giorni discute sui tavoli europei di immigrazione, snocciolando numeri. C’è poi chi guarda in tv scene di migranti alle frontiera o accampati in una stazione. C’è poi chi questo fenomeno lo osserva, ci riflette, ma lo fa vivendolo in prima persona, entrando in contatto e aiutando persone bisognose di assistenza. Prova a farlo nel proprio piccolo “La Casetta Onlus” di Bacoli che dell’accoglienza fa la sua prima missione. Ma c’è chi opera da oltre 20 anni opera su larga scala. È per questo che abbiamo deciso di parlare di immigrazione con Fabio Pasiani, di “Fondazione Progetto Arca Onlus”. Un’associazione che a Milano opera fra le strade e nelle proprie strutture, con progetti per persone senza dimora, ma anche anziani, minori o famiglie in difficoltà. Fra “La Casetta” e “Progetto Arca” è nata ormai una collaborazione che punta ad estendere la rete di assistenza ad un’utenza sempre più vasta. Ma la partnership serve anche ad altro, a confrontarsi e capire sempre meglio le diverse realtà su cui intervenire.

Parliamo dunque di immigrazione. Fabio Pasiani ne ha viste tante insieme ai volontari di “Progetto Arca” che hanno accolto migliaia di persone. Parla del fenomeno migratorio con chiarezza e lucidità.  Non gli sfugge, però, l’aspetto più umano e si legge un pizzico di rabbia nelle sue parole quando racconta gli aspetti più crudi. «Si tratta spesso di persone che chiudono la porta della loro casa sapendo probabilmente di non poterci più tornare – ci dice Fabio – Partono per un viaggio estremamente pericoloso che non sanno dove li porterà. Molte famiglie decidono addirittura di imbarcarsi divisi su due navi diverse per aumentare la possibilità che qualcuno arrivi dall’altra parte. È un assurdo! L’idea di arrivare a considerazioni di questo tipo fa accapponare la pelle a qualsiasi padre o madre di famiglia». Le sue parole sono forti, ma procediamo con ordine per capire meglio il fenomeno.

 

 

Per cominciare a parlare di immigrazione è opportuno fare chiarezza sui termini. È davvero giusto parlare di “emergenza”?

 

«La vera emergenza attiene alle problematiche dell’illegalità. Ci siano paesi che vivono in condizioni di guerra civile o di dittatura, dove è a rischio l’incolumità delle persone. Questa è un’emergenza per quei paesi, ma il flusso di persone che scappano da questi posti sta nell’ordine naturale delle cose. Dovremmo cominciare a considerare il fenomeno migratorio come una cosa normale. Piuttosto l’emergenza è che tante persone non trovino altro mezzo per raggiungere una vita migliore se non quello di affidarsi all’illegalità. Le conseguenze sono tristemente note; i migranti vengono trattati in maniera disumana, vivono in condizione disumana e spesso non arrivano neppure a destinazione. Questa è la vera emergenza secondo me». 

 

Non si emigra, quindi, solo per stare meglio?

 

«Quella economica non è sicuramente la prima ragione. Molte non sono persone a cui manca il pane. Manca piuttosto la certezza di tornare a casa se si esce per comprane, senza essere gettato in qualche galera o fatto oggetto di rappresaglie. Se qui in Italia vivessimo situazioni simili probabilmente anche io sarei alla ricerca di un altro posto sicuro dove vivere in serenità con la mia famiglia, mi pare una cosa piuttosto normale».

 

Possiamo tracciare un profilo generale dei migranti che arrivano in Italia? Da dove vengono, dove sono diretti e cosa cercano?

 

«Da gennaio ad inizio giugno sono arrivati in Italia circa 60 mila migranti. Io posso portare l’esempio di Milano, dove ne sono transitati circa 10 mila. Di questi 4240 sono eritrei e altri 3570 sono siriani, provenienti quindi da paesi dove la vita degli individui è messa a repentaglio da violente dittature o guerre civili. Per loro ci sono sicuramente gli estremi per richiedere lo status di rifugiato secondo quanto previsto dalla convenzione di Ginevra, perché nei paesi di origine vige una sospensione dei diritti umani. Gli altri 2 mila circa provengono da centro -Africa e Medio Oriente. I loro casi vanno, quindi, valutati singolarmente».

 

Si può ipotizzare che molti di questi abbiano intenzione di lasciare l’Italia come spesso viene detto?

 

«Provo a rispondere con un altro dato. Nell’ultimo anno e mezzo a Milano sono passati circa 64 mila migranti. Di questo solo 250 hanno chiesto asilo qui in Italia. C’è una sproporzione netta fra la gran parte che intende proseguire il proprio viaggio e chi sceglie di fermarsi qua».

 

La gran parte quindi dove va? Potrebbe ipotizzare anche che resti nel nostro paese?

 

«No, è una cosa molto difficile. A chi assistiamo facciamo compilare un questionario e i dati ci dicono che quasi tutti sono diretti verso Francia, Germania, Svezia e altri paesi. In più è logico ritenere che se restassero qui tornerebbero da noi per ricevere aiuto o assistenza visto il rapporto che si crea. Sappiamo invece che partono e si organizzano per andare altrove».

 

Torna così in ballo il tema dell’illegalità per superare anche i confini europei?

 

«Si talvolta ci si affida ai cosiddetti “passeur”, ma tanti partono anche in treno. Abbiamo visto tutti le immagini dei respingimenti a Ventimiglia; la maggior parte di loro sono africani, ma sappiamo di molte famiglie siriane che sono riuscite a passare il confine. Non possiamo chiaramente monitorare tutti i casi chiaramente, ma i segnali ci dicono che in molti raggiungono escono dall’Italia».

 

Le immagini dei migranti alla stazione di Milano hanno avuto molta risonanza. Si è parlato anche di problemi sanitari. Voi come li trovate sia da un punto di vista fisico che psicologico?

 

«Molto stanchi e provati. Hanno affrontato viaggi di settimane, talvolta mesi, in condizioni poco umane. Hanno carenza di sonno, sono disidratati, malnutriti. Una condizione di forte stress psicofisico. Capitano spesso bronchiti, bambini con la febbre. Ora con l’estate ci aspettiamo segni di ustioni, inevitabili viaggiano per giorni e giorni sui barconi. Detto questo ci impressiona sempre la loro grande determinazione nel voler concludere il loro viaggio, il loro progetto migratorio. Sono persone molte lucide e determinate a cercare un luogo in cui costruire una normalità per sé e per la propria famiglia. Un’ambizione che credo li accomuni con tutti noi.  Allo stesso tempo sono molto grati per l’accoglienza che trovano qui da noi a Milano dove per la prima volta qualcuno si occupa di loro, cosa che non si aspettano».

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Cosa riuscite a fare voi di “Progetto Arca” per aiutarli?

 

«Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo accolto più di 30 mila persone sulle 64 mila arrivate a Milano. Cerchiamo di dargli un sostegno concreto. Sono adulti, giovani, uomini e donne, anziani e tante famiglie con minori anche molto piccoli. Lo scorso anno mentre era ospite da noi una famiglia ha dato alla luce il secondo figlio.  Si fermano da noi in genere 4 -5 giorni. Li facciamo assistere da un medico, gli diamo la possibilità di farsi una doccia, di avere un cambio pulito di vestiti e un posto dove potersi riposare dopo un viaggio terribile. Possono mangiare secondo la loro cultura e avere qualcuno che parla la loro lingua a cui chiedere informazioni. In sostanza offriamo loro un riferimento che non hanno durante tutto il resto del viaggio».  

 

Individuare soluzioni non è semplice, ma per concludere ti chiedo se c’è qualche provvedimento che potrebbe nel breve termine migliorare la situazione?

 

«Quello che chiediamo è quello che in realtà chiede da tempo anche in comune di Milano a gran voce. Occorre l’istituzione di un corridoio umanitario che consenta a chi arriva da determinati paesi di circolare in Europa per raggiungere la meta prestabilita dove richiedere asilo. Questo taglierebbe fuori tutto quell’aspetto dell’illegalità che costituisce la vera emergenza, come già detto. I migranti dopo l’identificazione avrebbero in mano un documento che gli consentirebbe di prendere un treno o un aereo, togliendoli dalla necessità di affidarsi all’illegalità e dalla miseria di sentirsi clandestini. Gli strumenti di diritto internazionale per farlo esistono, così come dei precedenti a cui rifarsi, legati all’emergenza del nord Africa del 2011».

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Giovedì 11 giugno 2015 presso il “Circolo Artistico Politecnico” c’è stato l’evento “L’amore in musica” organizzato dall’associazione “L’arco dell’Avvenire”. Il ricavato della serata è stato donato completamente per sostenere le attività de La Casetta Onlus. Grazie a gesti del genere, possiamo continuare a donare un pasto caldo a chi è bisognoso.

 

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Foto 2Secondo i più recenti dati il 12,6% delle famiglie italiane vive in condizione di povertà. Il tasso è in aumento nel mezzogiorno, soprattutto fra le famiglie con più figli. Si tratta di una dura realtà che riguarda da vicino anche il territorio flegreo. Nell’area dati specifici riguardo la povertà non sono disponibili, ma il disagio riscontrato va oltre il mero aspetto economico, che pure rende più gravose alcune problematiche.

Lo si legge chiaramente nell’ultimo “Piano Sociale” redatto lo scorso novembre dall’Ambito N12 dei Servizi Sociali, che comprende i comuni di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida. Le nuove situazioni di povertà danno vita a condizioni di salute deteriorate, sentimenti d’impotenza, di isolamento, di abbandono e di disperazione. Si fa largo, quindi, l’esigenza di nuove azioni, sempre più calibrate sui bisogni dell’individuo e del nucleo familiare.

Tutte le richieste, infatti, nascono da situazioni multiproblematiche, in cui l’incapacità di affrontare taluni problemi ne acuisce le conseguenze e talvolta ne crea di nuovi. Così la perdita di lavoro può generare una crisi di identità dell’individuo e le limitazioni fisiche di disabili e anziani si associano alla mancanza di socializzazione e alla difficoltà di acquisire reddito.

Particolarmente grave la situazione dei più piccoli. Dietro il bisogno di assistenza scolastica di un minore inadempiente si celano spesso problematiche che investono il sano sviluppo armonico dell’intero nucleo familiare. Per questo motivo i Servizi Sociali offrono, anche in collaborazione con strutture specializzate come “La Casetta Onlus di Bacoli”, un’assistenza ai bambini, ma anche un supporto alla famiglia, attraverso programmi di mediazione.

I numeri parlano chiaro, l’esigenza di servizi di sostegno a minori e famiglie nel territorio flegreo è in crescita. Aumentano notevolmente le già centinaia di richieste di contributi economici, ma si stimano in circa 200 anche gli affidi a strutture residenziali e semiresidenziali per poter affrontare i problemi di genitorialità. Parallelamente si punta a far fronte anche alla crescente domanda di assistenza agli anziani.

Alla promozione dell’inclusione sociale e alle politiche per la famiglia è dedicato circa il 55% delle risorse disponibili. Le esigenze, però, sono ancora maggiori e per alcuni programmi si prevede che non potrà essere soddisfatta parte dell’utenza. Un punto importante, dunque, è quello di migliorare nel reperimento dei fondi da parte dell’Ambito N12 dei Servizi Sociali. Risorse importanti dovrebbero arrivare dal Piano di Azione e Coesione (PAC), ma capeggia ancora il numero 0 fra le voci che fanno riferimento ai fondi europei.

Foto 3Chi da anni si impegna in questo settore come “La Casetta Onlus” probabilmente non ha bisogno di numeri per percepire il bisogno di sostegno che emerge fra minori, famiglie, anziani, stranieri, disabili. La crisi economica e un incompiuto sviluppo del territorio acuiscono molti problemi per cui servirebbe un’azione più forte e mirata. Occorrono, quindi, un maggiore sforzo per reperire risorse e una sinergia sempre maggiore con le forze sane che fanno del volontariato una missione di vita prima che un lavoro.

Libertà, integrazione, accoglienza e solidarietà. Queste sono le quattro parole fondamentali che sono anche un pilastro per La Casetta. «La libertà è il primo diritto per l’animo- spiega la presidente Anna Gilda Gallo- L’integrazione è pensare che dopotutto c’è una sola umanità. L’accoglienza è far conoscere l’amore al mondo, mentre la solidarietà è una parola gentile, non costa nulla, ma è il più prezioso dei doni».

 

 

Ufficio stampa

La Casetta Onlus

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